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PostHeaderIcon Storie di uomini e imprese, prefazione di Gianpiero Dalla Zuanna

STORIE DI UOMINI E IMPRESE CHE FANNO VIVERE LA MONTAGNA

Prefazione di
Gianpiero Dalla Zuanna
Preside di Scienze Statistiche, Università di Padova



La vera scommessa è saper fare squadra

Nell’ultimo ventennio del Novecento, il Comelico è stato protagonista di un boom economico del tutto inatteso. Prima di quegli anni, in quelle terre si viveva nelle ristrettezze. L’economia era basata sulle rimesse degli emigranti, su un’agricoltura quasi di sussistenza, su lavori di fatica nelle miniere e nei boschi, e su un turismo che non poteva vantare la neve “firmata” di Cortina o di San Martino. Gli occhiali hanno permesso alle famiglie di moltiplicare i redditi, di ingrandire e abbellire le case, di fare studiare i figli, e di concedersi una vita che – prima – poteva solo essere sognata.

Come dice Roberto De Pol: “… la svolta l’ha data l’occhialeria nel momento in cui s’è visto che, invece di guadagnare 100 lavorando il legname (con una grande fatica fisica e spesso con 36 gradi d’estate e –17 d’inverno) si poteva guadagnare nello stesso tempo 500, al coperto in un ufficio o in un laboratorio facendo minuterie” (Quando il futuro è nel passato). Ma negli anni del boom, non è stato fatto nulla per diversificare, né per investire i guadagni in nuove iniziative economiche. Piuttosto, come dice Alfredo Comis: “… la nostra gente se ha qualche risparmio lo mette volentieri nella casa” (I risparmi vanno nel mattone e nelle imprese locali). Di conseguenza, quando il distretto degli occhiali è andato in crisi, tutta l’economia del Nord-Est Bellunese è rimasta come tramortita. Il libro di Stefano Vietina è benvenuto, perché – con la passione e la competenza del giornalista innamorato di queste valli – va a cercare i segnali di una possibile ripresa.I ritratti tracciati da Vietina, con penna rapida e sicura, mostrano che anche nei paesi del Comelico e del Centro Cadore c’è gente che si dà da fare. Artigianato artistico, servizi all’edilizia, occhialeria di qualità, qualche originale re-invenzione di attività agricole e forestali, iniziative turistiche al passo con i tempi mostrano che è possibile lavorare e vivere bene in montagna, a dispetto di costi più alti e di un mercato più ristretto, anche senza il generoso sostegno di regioni o province autonome.
Tuttavia, c’è qualcosa che non va. Parliamo solo di turismo, ossia della possibilità più concreta per creare rapidamente molti e duraturi posti di lavoro nella valle. L’iniziativa economica più interessante descritta in questo libro è certamente il comprensorio sciistico Comelico-Pusteria, che – con il collegamento fra Padola e San Candido – a partire dal 2013 dovrebbe gareggiare con i grandi caroselli delle Dolomiti, come Plan de Corones, Sellaronda e Civetta. Ma per decollare, questa importante iniziativa economica ha avuto bisogno dei capitali altoatesini, ovviamente benvenuti, ma testimonianza dell’inadeguatezza degli imprenditori locali (Il “re dei salumi” farà volare il Comelico). Lo stesso non si può dire – purtroppo – per la valorizzazione della Val Grande. Le magnifiche Terme hanno finora vivacchiato, rischiando anche la chiusura, perché i locali – oltre a non mobilitarsi – hanno rifiutato la proposta di un imprenditore di Sesto, per il recupero dell’Albergo Amati (Happacher guarda al Comelico). Ma questa è solo una delle tante occasioni perdute. Come è possibile che – con campioni come De Zolt, Fauner e Piller-Cottrer – non esista in Comelico un vero comprensorio di piste da fondo? La Val Visdende sarebbe perfetta a tale scopo, ma non se ne è mai fatto nulla. E perché la strada della Lavardet aspetta da più di dieci anni di essere rimessa a posto? E perché, con le tante e magnifiche case costruite in questi anni, in Comelico ci sono così pochi Bed & Breakfast? E perché l’albergo al Passo Sant’Antonio – fra Padola e Danta, uno dei posti più belli delle Dolomiti – è sprangato ormai da anni? E perché – ancora – non viene recuperata per il turismo la Caserma degli Alpini di Santo Stefano? La si vuole lasciare andare in rovina? È vero, in provincia di Belluno non ci sono i soldi pubblici dell’Alto-Adige e del Friuli. Ma questa dovrebbe essere una ragione in più per sfruttare al massimo le risorse disponibili, per “fare squadra”, come dice Walter de Martin (Il boscaiolo del terzo millennio).
Frequento il Comelico ormai da trent’anni, e mi considero qualcosa di più di un turista. Ho vissuto la vita della valle assieme a mia sorella Piera e a suo marito Paolo Tognato, per più di vent’anni medico di base a Campolongo, Costalta e Sappada. In questi anni mi sono convinto che il problema maggiore per l’economia – e forse per la vita – della Val Comelico è proprio la difficoltà di fare squadra. Ogni Comune, ogni Regola, ogni Parrocchia, ogni Frazione tende ad agire per conto suo. Quando l’occhiale “tirava” non c’erano tanti problemi, perché la torta era grande e c’era da mangiare per tutti. Ma quando le cose vanno male, in una realtà come la Val Comelico l’incapacità di cooperare può portare alla morte economica. Innanzitutto, le liti bloccano promettenti iniziative (vedi l’annoso – e penoso – contenzioso fra Comune di San Pietro e Regola di Costalta sulla proprietà dei boschi della Val Visdende: Un’economia in Regola). Inoltre, agendo (e pensando) in ordine sparso si è più deboli, quando si deve interloquire politicamente con Belluno, Venezia e Roma, o con le proposte che possono venire da grandi imprenditori o da qualsiasi ente esterno. Infine, con la crisi della finanza pubblica e con i processi di globalizzazione, solo la cooperazione fra i piccoli comuni (e fra le Regole, nel caso specifico) può permettere di lanciare e consolidare iniziative significative, che per riuscire debbono essere di ampio respiro.
Oggi buona parte dei giovani della Val Comelico lavora fuori della valle, sulle tracce dei nonni emigranti. Il libro di Vietina indica qualche sentiero per invertire questa tendenza. Ma la strada è lunga, e per essere percorsa con successo ha bisogno di un deciso cambio di mentalità. Nei difficili decenni che ci attendono, solo agendo (e pensando) assieme le comunità della Val Comelico potranno creare lavoro per le nuove generazioni, ossia potranno continuare ad esistere.

 

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