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PostHeaderIcon Un articolo su "ALTRO & OLTRE" in tema di centraline

 

Un'operazione che, a regime, porterà ad un introito per il territorio di circa 950.000 euro all'anno, di cui 150.000 per le Regole e 800.000 per il Comune, cifra che va ad impattare su un bilancio municipale che si aggira sui due milioni di euro. Così il sindaco Silvano Pontil Scala può ben sostenere che l'operazione “ci consentirà di garantire migliori servizi ai cittadini, di portare a termine un bel po' di lavori per tutta la comunità, di ridurre le tasse. In tempi di vacche magre, come questi, è una vera e propria manna.”   Il dibattito sulle centraline, dunque, è all'ordine del giorno. E la ragione è ben comprensibile e ce la spiega uno che le centraline le costruisce, con un occhio al business e l'altro alla tutela dell'ambiente, di un patrimonio comunque da difendere.
“Disponiamo di tanta acqua in movimento in piccoli bacini, abbiamo bisogno di molta energia – spiega infatti l'architetto Gustavo Fontana, presidente dell'omonima azienda di Belluno attiva nella realizzazione di centraline - e dobbiamo tener fede agli impegni presi dal nostro Paese per il 2020 in tema di ambiente (riduzione del 20% delle emissioni di gas serra e raggiungimento della quota del 20% da fonti di energia alternative, n.d.r.). Ovvio – prosegue Fontana, che ha realizzato fra l'altro l'impianto  di Cibiana - che le centraline idroelettriche rappresentino una soluzione molto interessante, da cui non si può prescindere.” Ed ancora: “Nel bellunese abbiamo delle ottime opportunità in questo settore, se si pensa che, secondo dati Enel Greenpower, utilizziamo appena il 20% delle potenzialità, contro l'80% di Piemonte o Trentino Alto Adige. Ovviamente il nostro territorio è stato condizionato anche psicologicamente dalla tragedia del Vajont, dopo la quale gli interventi idroelettrici sono rimasti congelati fino al recentissimo passato.”
Ma ora la rincorsa è ripresa, ogni Comune che abbia la fortuna di avere anche un piccolo salto, cerca di sfruttarlo. E la tutela del territorio? “L'importante è che chi si mette ad operare in questo settore fornisca le necessarie garanzie.” Ovvero? “La nostra filosofia – ribadisce Gustavo Fontana - è quella di concordare gli interventi con tutti quegli Enti pubblici e quei soggetti, anche di diritto privato, che rappresentano in primo luogo il territorio. Il guadagno può anche essere inferiore, ma ci teniamo a progetti condivisi e che tutelino l'ambiente. La gente di montagna, insomma, non può essere tagliata fuori da questi progetti, ma deve partecipare agli utili che ne derivano.”
E sta proprio qui il nocciolo della questione. Perché la Regione Veneto, dopo molteplici delibere di Giunta, susseguitesi negli ultimi anni con aggiornamenti, integrazioni ed anche abrogazioni, con la DGR n. 2100 del 07/12/2011 ha riformulato il procedimento di autorizzazione delle centraline idroelettriche, separando le procedure di rilascio e distinguendo l’assegnazione della concessione dal permesso di costruzione ed esercizio dell’impianto.
L'obiettivo dichiarato era quello di ridurre i tempi e semplificare il procedimento, ma nel far questo si è andati anche ad abrogare (inconsapevolmente? per la fretta?) tre precedenti delibere di Giunta ed in particolare quella n. 1609/2009 che sanciva chiaramente la non ammissibilità a procedure d’esproprio di terreni di proprietà regoliera. Qualcuno ha letto in questa decisione un po' di pressapochismo; qualche altro, invece, un'azione volta proprio a limitare il potere decisionale delle Regole sui loro stessi territori.
Il 16 febbraio si riunisce, dunque, a Pieve di Cadore, presso la sede della Magnifica Comunità,  la Consulta veneta delle Regole e il presidente Gianfrancesco Demenego si dice convinto che “nessuna nuova centralina idroelettrica sarà possibile senza il consenso delle Regole”, che vantano la proprietà, a seconda delle varie zone, del 70-80% del patrimonio boschivo. E prosegue: “E' stato riconosciuto il valore della legge del 1996, secondo la quale è necessario il nostro  permesso. In pratica i terreni delle Regole non sono espropriabili, questo è il punto fermo.” Ma il giorno dopo qualcuno storce la bocca. Ruggero Grandelis, vicepresidente dell'Arcfaco, l'Associazione delle Regole del Comelico, è cauto: “Siamo contenti, ma anche attenti e vigili. Non vorremmo trovarci in futuro dinanzi a qualche altra sorpresa, se pure nata accidentalmente, a qualche strano codicillo.”
E il 20 febbraio le Regole di San Vito annunciano un ricorso perché, scrive Corrado Belli Codan, presidente della regola Granda di San Vito, “sulla base dei documenti forniti dalla Regione si determinerebbe una situazione per cui, assegnate eventualmente le concessioni ai privati (per le quali non è richiesta autorizzazione delle Regole), le Regole sarebbero poi costrette o a concordare l'assenso alla disponibilità delle aree per la costruzione, in base ad un supposto maggior interesse pubblico, o addirittura a rilevare la concessione dai privati. Una situazione di stallo, quindi, e di contenzioso. Perché allora non stabilire da subito, e fuori da ogni possibilità di equivoco, che anche la concessione venga affidata solo previo il consenso delle Regole?”
Il ricorso viene tempestivamente avanzato ed ora si attendono gli eventi. E resta alta la guardia. Il business dell'acqua va bene, insomma, è una carta importante da giocare in questi tempi grami dal punto di vista economico. Ma a gestirlo siano i locali, non i foresti, attratti da troppi appetiti. Poi le collaborazioni sono le benvenute, ma il gioco va condotto secondo le regole e con il consenso delle Regole.


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