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PostHeaderIcon Un articolo sul nuovo mensile "ALTRO & OLTRE"

Dato quasi scontato, apparente, lampante per chi nelle nostre valli vive, ma che può e deve essere sottolineato per rifletterci un po' su, perché da qui si deve ripartire per progettare un futuro (se un futuro si vuole ancora avere). Poco importa poi se gli stessi dati confermano come sia la Cina ad avere di fatto “strozzato” la fitta rete dei terzisti del settore. Prima era stato l'Est europeo ad accaparrarsi quelle attività di minuteria che per molti hanno rappresentato, per oltre un  ventennio, fonte di una ricchezza pervasiva, possibile soltanto, è vero, grazie ad un'applicazione e ad una dedizione al lavoro non comuni, ma anche capace di sopire poco a poco qualsiasi altra forma di intrapresa. Le importazioni dalla Cina crescono ad un buon ritmo in provincia e questo conferma che, mentre i colossi dell'occhiale hanno progressivamente delocalizzato le loro sedi, da Longarone all'intera pianura veneta, in cerca di soluzioni logistiche più idonee ai loro business, hanno anche in buona parte delocalizzato le lavorazioni all'estero, mantenendo qui da noi la creatività e l'organizzazione, insomma la testa. E' la micro-impresa, dunque, a soffrire ed a morire, l'aziendina familiare concentrata nella produzione di componenti a basso valore aggiunto per la grande industria del settore, che nel frattempo aumenta le proprie esportazioni all'estero.


Niente di nuovo sotto il cielo dell'occhialeria, dunque, ma come sta il turismo, altro asse portante dell'economia cadorina? “Gli alberghi rischiano il fallimento”, titolava il Corriere delle Alpi del 25 febbraio scorso, riportando il grido di allarme di Gildo Trevisan, presidente degli albergatori della provincia di Belluno. Intervenuto ad un incontro promosso dalla Regione Veneto con i rappresentanti dei consorzi turistici e dei gestori degli impianti del territorio, alla presenza anche del  direttore generale di Veneto Sviluppo Paolo Giopp, Trevisan a quanto raccontano le cronache non ha usato mezzi termini: “Siamo dinanzi ad emergenze strutturali – ha sostenuto - non certo dovute soltanto alla mancanza di neve di questa stagione. Ammesso si superi l’inverno, l’estate non si annuncia positiva. C’è tempo al massimo uno o due mesi per trovare i meccanismi tali affinché le realtà alberghiere non entrino in sofferenza con gli istituti bancari e perché una parte di rate dei mutui contratti possa essere in parte finanziata».
Al di là della crisi economica che stiamo attraversando, e che si abbatte pesantemente anche sul turismo, perché la gente taglia dove può a partire, come ovvio, dalle vacanze, quello che traspare è comunque un andare incontro alla crisi in ordine sparso, incapaci di fare squadra e quindi massa, di investire su un'immagine comune, di puntare su quelle risorse naturali che non mancano e che pure sembrano quasi essere di seconda scelta, rispetto a quelle dei vicini alto-atesini o friulani, tanto per non far nomi.


E dire che è proprio la natura incontaminata e la “ricerca di autenticità” una delle maggiori attrattive per i turisti cittadini, come conferma una ricerca sui parchi veneti, commissionata dalla Regione Veneto, realizzata da Swg di Trieste e presentata a Cortina, sempre a fine febbraio. E' stato intervistato un campione di 1.270 persone in Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Piemonte ed il questionario è stato anche distribuito a circa 300 visitatori di Expobici (ovvero turisti attivi). Ne è emerso che i due nostri parchi montani, quello delle Dolomiti d'Ampezzo e quello delle Dolomiti Bellunesi, sono fra i più apprezzati; che il 23% degli intervistati va alla ricerca di un rapporto dinamico con la natura, il 24% aspira alla semplicità; il 19% ama invece i centri urbani e il 34% cerca autenticità, cioè vuole fuggire dalla città e immergersi nella natura. Quindi un ampio serbatoio di potenziali turisti per i nostri parchi. Bisognerebbe però puntare un po' di più sulla loro conoscenza, perché il primo è stato visitato dal 25% degli intervistati; il 33% lo conosce ma non l'ha mai visitato e il 20% non lo conosce proprio. Il Parco delle Dolomiti bellunesi, invece, è stato visitato dal 19% degli intervistati; il 32% non l'ha mai visto ma lo conosce e il 25% non lo conosce.


C'è margine, dunque, per una promozione mirata, da attuare possibilmente senza disperdere energie e risorse in mille rivoli, ma all'interno di un piano turistico complessivo. Ma anche qui sembra davvero che manchi una regia, che il fare squadra appaia ancora come una chimera.
Altra scena, la Fiera di Longarone, altro settore il legno, ed un convegno che, all'interno dell'annuale rassegna “Costruire, salone dell'edilizia e dell'abitare”, il Centro Consorzi di Sedico ha lanciato come una provocazione, ovvero: “Cosa vogliamo farne del legno del Cadore?” Qualche dato per chiarirci le idee? Negli anni '70 le segherie nel Bellunese erano un centinaio, oggi siamo a 13, con un'altra dozzina di carpenterie che si occupano della trasformazione. Il legno lo si vende a basso costo, per poi ricomprarlo da chi lo lavora (Austria, ma adesso anche Cina) e ce lo rivende a caro prezzo. Perché il legno lo usiamo ancora molto per costruire ed arredare, ma siamo incapaci di creare un marchio doc, di valorizzarlo come meriterebbe. E dire che, secondo i dati forniti nell'occasione da Andrea Zenari, costruire una casa in legno è economico ed anche ecologico. “Ogni 28 secondi sulle Alpi – ha ricordato - cresce tanto legno quanto è necessario per costruire una casa. Ed in Veneto cresce il legno per costruire 2.000 case all'anno.” Altro settore su cui cìè da lavorare, dunque.


Perché se il quadro, frammentario e di certo non esaustivo che appare da questi flash di attualità non è certo molto promettente, poi se si va a scrutare più a fondo il tessuto economico delle nostre valli si capisce che è tanta la voglia, la vitalità, la capacità di affrontare anche i contesti più difficili. Nonostante tutto, insomma, la gente di montagna non molla, lotta, lavora strettamente legata alla sua terra. Ed oggi reclama, giustamente, una diversa attenzione dal mondo della politica, perché forse da sola non ce la può più fare.
Istruzione, formazione, nuove tecnologie: sono queste le armi che oggi, a mio avviso, possono segnare il destino di questa guerra di trincea contro lo spopolamento e l'abbandono. Tre armi di cui dotare tutti coloro che questa guerra vogliono combatterla, ancora convinti di poterla vincere. Ma questo è un discorso che merita un capitolo a parte. Che scriveremo presto.


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